Il Polesine, il quale era un territorio povero che si sosteneva attraverso un’economia contadina, semplice e rurale, all’inizio del 1900 fu invaso dalle mosche.
Un’epoca priva di tecnologia, in cui i frigoriferi nel nostro territorio non erano ancora conosciuti, ci condusse ad una delle piaghe più difficili da affrontare. La conservazione del cibo era un tabù e le pratiche utilizzate non erano abbastanza sicure per prevenire la salubrità degli alimenti, contaminati dalle mosche le quali erano portatrici di malattie.
Con la legge numero 838 del 29 marzo 1928 e il decreto del 20 maggio 1928, sì cerco di informare la popolazione sui pericoli concernenti la veloce proliferazione delle mosche.
Con il Testo Unico sulle leggi sanitarie del 27 luglio 1937, tutte le leggi precedentemente emanate si unificarono alle seguenti prescrizioni igieniche (guarda dall’articolo 253 all’articolo 263, cliccando qui).
Esercizi pubblici
Ciò che oggi chiameremmo usi e consuetudini, all’epoca erano stravolgimenti della quotidianità. Tutti gli esercenti furono obbligati ad adottare protezioni esterne che impedissero l’ingresso delle mosche dalle finestre e dalle porte. Le stoviglie e gli accessori da tavola dovevano essere conservati in luoghi protetti e i retrobottega dovevano essere periodicamente puliti. Tali leggi obbligavano a porre i rifiuti e le biancherie sudice in appositi contenitori chiusi.
Tutti gli esercenti che non adottavano tali norme erano puniti con un’ammenda da lire 200 a lire 1000.
Gli spacci alimentari dovettero adottare protezioni per preservare carne, pesce, uova, dolciumi e frutta che dovevano essere serviti crudi.
Ad oggi ci è difficile immaginare la critica situazione dell’epoca dove la carne rimaneva anche settimane sotto al sole e all’aria aperta, invasa da mosche che trovavano terreno fertile.
Carne e pesce, che per il costo in pochi si potevano permettere, erano pure vettori di gravi malattie. Ciò che doveva essere un pasto conviviale e di gioia, spesso si trasformava in una tragedia.
Pratiche di prevenzione
Ai crespinesi si ordinò di eliminare ogni letamaio, immondezzaio o materiale putrido e di irrorarlo con la Miafonina Barlese (moschicida) o con la calciocianamide.
Quest’ultima è tutt’ora un utilizzatissimo concime a base di azoto, usato come fertilizzante, diserbante ed insetticida.
Si consigliava inoltre di aggiungere al latte, l’1 × 1000 di formalina mentre la frutta, la verdura e il miele, erano trattati con una soluzione all’1% di arsenito di sodio.
La lettera del Podestà
Il Podestà Paganelli, in una lettera del 1937 al Comune di Crespino, scrisse:
“Le mosche si sviluppano e cercano il loro nutrimento specialmente nella sudicerie. Esse trasportano e depositano i germi delle più pericolose malattie (diarrea estiva, colera, tubercolosi, malaria, difterite, …) sugli alimenti.
Impedite che le mosche entrino nella vostra abitazione. Evitate che queste si posino nel pane, sullo zucchero, sulla frutta, sulle bottiglie di latte, sui vostri alimenti in genere.
Mantenete pulita la vostra casa e sottraete al contatto delle mosche la biancheria sporca, le immondizie, gli sputi e le feci che possono essere sorgenti di infezioni.
Per la vostra salute, rifiutate gli alimenti e le bevande contaminate dalle mosche.“
Come abbiamo potuto capire, questa invasione fu critica per il territorio a tal punto che il ministero della Sanità dovette intervenire con l’emanazione di alcune leggi atte a prevenire le malattie infettive.
Molte persone si ammalarono e morirono per via del debole sistema immunitario, dovuto alla malnutrizione, che non riusciva a fronteggiare l’infezione.
Un’epoca tragica non solo per la perdita dei valori morali ma anche per le pessime condizioni
igieniche e sanitarie.